Intervista alla scrittrice Francesca Gerla

Ciao Francesca, puoi presentarti ai nostri lettori? Chi sei e cosa fai nella vita?

Sono una appassionata di letteratura e lingue straniere. Dopo la laurea, ho lavorato per una decina d’anni per l’editoria, come redattrice e traduttrice. Ho tradotto per Rizzoli, Bollati Boringhieri e altri editori. Ho smesso per esigenze familiari. Un periodo magico che spesso rimpiango; ogni tanto torno a qualche traduzione, e non è detto che non decida di tornare in pista del tutto. Per ora, mi godo le gioie dell’insegnamento e continuo il mio percorso nella scrittura. Insegno lingua e letteratura inglese in un liceo nel cuore di Napoli. Ogni giorno vivo una, mille storie diverse nelle mie classi, ma anche lungo i vicoli che percorro per raggiungere la mia scuola. Adoro trasmettere alle nuove generazioni le mie passioni e incidere positivamente sulla loro formazione. La mia più grande soddisfazione è l’affetto che ricevo quotidianamente e il rapporto con i ragazzi, che a volte regge alla prova del tempo anche dopo il diploma.

Usando tre aggettivi positivi e tre negativi, come ti definiresti?

Allegra, socievole, creativa; disordinata, ansiosa, smemorata.

Da dove nasce la passione per la scrittura e la tua opera “L’isola di Pietra”? Cosa ha ispirato questa creazione?

La passione per la scrittura nasce da quella per la lettura. Quindi ho iniziato a scrivere appena ne sono stata in grado, a sei anni. Prendevo le figurine avanzate dagli album, ne incollavo una su un foglio e ci scrivevo una storia ispirata dall’immagine che trovavo casualmente. Da allora non ho mai smesso di pensare a cosa avrei scritto: racconti, poesie ma non solo. Dai dieci ai ventinove anni ho tenuto un diario, ne ho finiti talmente tanti che a un certo punto ho sentito l’esigenza di catalogarli. L’isola di Pietra è un romanzo che nasce da una immagine, quella di una ragazza che scappa su una scogliera a Ventotene e un ragazzo che la insegue nella notte, sotto la luce della luna. Intorno a questa immagine ho costruito tutto il resto, come un piccolo puzzle che lentamente prendeva forma davanti ai miei occhi.

Quali temi affronti in questa opera? C’è un legame particolare tra questi temi e la tua vita privata?

Parlo del parto, dell’amore e delle scelte personali, ma anche della ricerca delle proprie origini. Di autobiografico non c’è nulla, se non i luoghi descritti (sono di Napoli, ho vissuto in varie città tra cui a Milano, sono stata in Kenya, Giappone, ho fatto le vacanze a Ventotene da ragazza). Le doglie sono descritte con cura perché ho due figli. Ma la mia storia personale è molto più “canonica” di quella di Pietra: mi sono sposata e dopo tre anni è nato Fabrizio, e dopo altri cinque è nata Irene. Due bambini molto desiderati da entrambi i genitori, a differenza di quello che capita al figlio di Pietra.

Curiosando sui tuoi social ho visto che sei molto attiva con le presentazioni del libro. Quale è il tuo approccio con i lettori? Quale messaggio vorresti trasmettere?

Mi capita che lettori per caso diventino miei amici, si affezionino a quello che scrivo (soprattutto su Facebook), che inizi un dialogo e questo è molto bello. Non ho un messaggio particolare da trasmettere ma solo tante domande da condividere. Del resto, sono soprattutto lettrice anch’io, ed è il dialogo con quello che leggo a sostenere le mie riflessioni; spero che capiti qualcosa di simile a chi legge me.

Sei soddisfatta di come sta andando la promozione del tuo libro “L’isola di Pietra”?

Mi piace molto l’affetto che sento intorno a me; sono soddisfatta, sì.

Cosa rappresenta per te questa opera?

Diversamente da altri romanzi che ho pubblicato, questo ha un significato anche molto personale, perché l’ho ideato quando il mio primo figlio era ancora piccolo e l’ho scritto mentre ero incinta della mia seconda figlia. Rappresenta per me il grande sentimento che deriva dall’amore per i figli.

Quali sono i personaggi di questa opera?

Pietra è una ragazzina di tredici anni, dall’aspetto selvaggio e infantile al tempo stesso. Vive d’estate a Ventotene, una delle isole pontine nel Lazio, insieme alla nonna Margherita, ma è di Milano. Un giorno viene adocchiata da un ragazzo, Roberto, un milanese di buona famiglia che resta subito sedotto dalla ragazza. Un’attrazione precoce destinata a cambiare le sorti d’entrambi…

Sei legata a qualche personaggio in particolare presente nel tuo libro? Se sì, perché?

Amo molto Margherita, donna anziana che sa insegnare cosa voglia dire amare. Rappresenta una certa categoria di nonne italiane che, nonostante quello che l’iconografia tradizionale vuole farci credere, sanno offrire molto di più a figli e nipoti che polpette e pasta al forno. Essendo nate in un bivio storico, quello che ha reso la società più attenta ai diritti dei cittadini, alcune di queste donne hanno trasmesso in maniera implicita un primo accenno di libertà alle loro figlie e ai loro figli che ha consentito alla società italiana di aprirsi e livellarsi rispetto alla mentalità del resto d’Europa, spesso ponendosi come innovativa in maniera anche imprevedibile.

Quale è la tua posizione sulla maternità? Cosa rappresenta per te?

Per me avere avuto figli è stata una grande fortuna, ed è motivo di felicità. Abbracciare i miei figli, trascorrere del tempo con loro, è occasione di gioia senza fine. Non ritengo però che sia una esperienza indispensabile per tutte le donne: ci si deve arrivare qualora si senta il profondo desiderio di viverla, non per altre ragioni. Non tutte le persone sono destinate a essere genitori, ma la vita è ricca e la parte migliore della società di oggi ha questo lato positivo: lascia ciascuno di noi libero di interpretare la propria felicità come meglio crede, senza attribuire valore assoluto a nessuna esperienza. È giunta l’ora di liberarci dai condizionamenti e vivere appieno la vita così come la si desidera, nel rispetto degli altri.

Il tuo libro tratta anche l’origine del desiderio, potesti illustrarci il tuo pensiero a riguardo?

Credo che il desiderio sia un viaggio in perenne trasformazione, che ci porta a conoscerci meglio e a non dare per scontato nessuna verità per noi. Parlo non solo del desiderio sessuale, ma anche di ciò a cui tendiamo, a volte senza accorgercene. Nel romanzo, ad esempio, parlo di come Pietra scopra in maniera graduale e anche sorprendente di voler diventare madre. Non sempre si hanno le idee chiare da giovani circa le nostre vere vocazioni: i desideri sono processi lunghi e a volte tortuosi, e ciascuno di noi dovrebbe rispettare la nascita di una nuova tensione verso un obiettivo che potrebbe renderci felici in modalità che magari prima non ci saremmo attesi.

Fino ad ora quante opere hai pubblicato? Potresti illustrarle brevemente?

A parte i racconti e qualche poesia, ho pubblicato quattro romanzi, di generi molto diversi. L’isola di Pietra è un romanzo di formazione nonché una storia d’amore; La testimone è un giallo giudiziario; Sei personaggi in cerca di Totore, scritto a quattro mani con Pino Imperatore, è un’opera comica; La gabbia è un thriller psicologico.

Hai in programma nuove opere?

Negli ultimi tempi mi sono dedicata alla poesia. Dopo quattro romanzi pubblicati e uno nel cassetto, ora credo di voler provare a rendere pubblici i miei versi, sperando di trovare un riscontro positivo.

Tra le tue opere già pubblicate, ce n’è una in particolare che tieni nel cuore o sono tutte equivalenti?

Dal punto di vista personale, L’isola di Pietra è sicuramente l’opera più significativa per la profonda intimità della narrazione dei momenti del parto. Ma il romanzo che mi ha dato più soddisfazione in termini di resa, è La gabbia, edito da Emersioni nel 2019. Un thriller psicologico che ho scritto non senza sofferenza, visto che affronto argomenti delicati e descrivo un protagonista non propriamente di buoni sentimenti.