2020, il peggior anno di sempre

Esce oggi In social stat virus, il racconto di come la pandemia è diventata totalizzante nella coscienza collettiva attraverso i social

2020, The worst year ever. Il peggior anno di sempre: così titola il settimanale Time con una copertina in cui mette una bella “X” sopra al numero dell’anno. La rivista americana aveva già usato la X in qualche altra occasione; per esempio nel 1945 annunciando la morte di Adolf Hitler. Il che già suggerisce, facendo anche solo a mente un rapido confronto tra, tanto per dire, 1943 e 2020, che questo uso dei superlativi assoluti – che va abbastanza di moda ultimamente, pensate a quante volte avete sentito peggior ministro di semprepeggior destra di semprepeggior presidente americano di sempre – a noi vecchi pedanti fa pensare che si sia persa la memoria e la prospettiva storica. E non solo storica: una famiglia di profughi siriani ha tutt’altra idea e tutt’altra scala su come misurare quale sia stato il suo peggior anno di sempre. Ma ognuno di noi può aver avuto anni peggiori di questo per motivi personali.<br>Tutto ciò lo diciamo senza voler neppure minimamente sminuire il dramma della pandemia, che è stata un disastro di enormi proporzioni. Ma a volte anche rendersi conto che c’è stato di peggio aiuta a reagire, e questa forma di comunicazione non aiuta.
È interessante capire che idea ci siamo fatti, di questa pandemia. Quella precedente, comparabile a questa, rimase quasi sconosciuta per lungo tempo: c’era la prima guerra mondiale e non si doveva sapere cosa accadeva. Tant’è che prese il nome di “Spagnola” proprio perché la Spagna era uno dei pochi paesi non in guerra e c’era libertà di informazione, e fu lì che se ne cominciò a parlare (l’epidemia era arrivata dagli Stati Uniti). Oggi se ne parla, ed essendo nell’era dei social se ne parla troppo. Tutti parlano: virologi, presunti virologi, economisti, complottisti, e naturalmente politici. E persone normali. Ognuno con la sua opinione quasi sempre presentata come fatto, che nel marasma finisce spesso per pesare anche se non dovrebbe, creando immagini distorte, alimentando il panico o generando eccessiva confidenza quando occorrerebbe prudenza.
È interessante e anche utile ragionarci sopra – anche perché noi stessi siamo soggetti a questi meccanismi, anche senza rendercene conto – ed è consigliata per questo la lettura del breve saggio in uscita oggi, In social stat virtus di Marco Marangio. Marangio è una delle pochissime persone oggi in Italia a non essere un virologo. Però è un esperto di comunicazione e di sociologia. E parla di questi argomenti, con competenza. Prestategli orecchio.