Intervista allo scrittore Giordano A. Ricci

Ciao Giordano, chi sei e cosa fai nella vita? Puoi parlarci di te?

E che ne so chi sono? Sono il tuo vicino di casa, l’uomo che ti cede il posto in metropolitana; il tizio che guarda lo scaffale dei detersivi per la lavatrice; l’autista che canta nell’automobile affianco alla tua in coda al semaforo. Sono quello che incontri per strada e ti ferma perché hai un sorriso disarmante o che aiuta un cane ad attraversare la strada…

Una persona come le altre che fa cose assolutamente normali senza essere né un santo, né un eroe.

Ho un lavoro da ingegnere, l’università gli studenti, sette o otto ettari che coltivo da solo e poi galline, cani, cavalli, gatti, asini. Non propriamente un “dandy” metropolitano.

Non mi depilo, non uso cremine, non ho tatuaggi tribali e mi tengo in forma sollevando migliaia di cassette di olive ogni anno. Più che single, direi che sono un convinto sostenitore della teoria che un bicchiere con due spazzolini da denti regge senza rovesciarsi il tempo che impiega un bruco a mettere le ali.

Fumo sigari toscani a qualunque ora del giorno e della notte, ho le mani indurite e il cuore mummificato. Non faccio lampade, non cambio auto ogni anno e nel tempo che mi rimane vado in giro per tutti o quasi i poligoni d’Italia a sforacchiare sagome di cartone per sport. Sono un agonista.

Quali sono le tue opere pubblicate?

In giro ci sono ancora per poco (poi verranno rieditati da Sàga) due miei libri pubblicati in self, più un terzo che esce il 23 aprile per Sàga Edizioni

 Il primo lo scrissi in un tempo irragionevolmente breve (praticamente un week end) e che tirai fuori con il titolo “La gabbia di seta”.

In realtà non avevo alcuna intenzione di elevarmi al rango di scrittore. Ho idee precise in proposito e per me gli scrittori (veri) viventi sono sei o sette al massimo nel mondo. Tutti gli altri, me compreso, imbrattano carta.

Fatto sta che quel primo libro ha avuto un successo inatteso che francamente mi ha spiazzato.

Ma se da un lato ero confuso da quel risultato, dall’altro ne trassi la spinta per continuare…e ne scrissi un atro: “Il pirata col pulcino nel taschino”. Era una storia molto dura a dispetto del titolo e per ragioni facilmente intuibili dalla lettura,  mi divorò tutta la volontà e forse anche la capacità di continuare a scrivere. Volevo smettere e per un po’ di anni è stato così.

Ma ho sempre demolito i buoni propositi, compreso quelli di smettere di fumare e di dare una sistemata alla mia vita, specie in fatto di relazioni femminili. Dunque apro la finestra di una mattina di primavera e quello che venne dopo fece la fine del saio di quel frate che lo gettò alle ortiche.

Quale opera hai pubblicato con Sága Edizioni?

Una storia molto diversa da quelle che ho già raccontato. Si tratta di “Come le ali del pettirosso”.

Ha a che fare con quello che successe quella mattina di primavera dello scorso anno e che mi ha spinto a scrivere ancora e parla di come Augusto si trova a dover ridisegnare le sue convinzioni e i suoi progetti, a partire da una telefonata che lo collega ad una giovane ragazza che non conosce, detenuta in un carcere Venezuelano e alla figlia piccolissima di lei.

C’è questo paese sullo sfondo: il Venezuela, con le sue mille contraddizioni e lo stridente meccanismo che contrappone meraviglia e dolore. C’è l’anima vera di un popolo che per quasi la metà è formato da oriundi italiani e c’è la parte epica del coraggio dei singoli.

Una storia  che è anche una denuncia verso l’oblio mentale al quale abbiamo condannato tanti nostri connazionali e oriundi di seconda e terza generazione che continuano a vivere in Venezuela.

Certe storie sono difficili da raccontare. Io provo a raccontare quello che gli altri rinunciano a fare. Come successe ne la “gabbia di seta”, come ho fatto col “pirata col pulcino nel taschino”

Il nome della collana in cui sei inserito è Thalia. Conosci il suo significato? C’è un collegamento o significato con la tua opera?

Ho conosciuto da qualche parte nel Mondo una ragazza con quel nome. Era l’anno 1991.

Aveva lunghe gambe abbronzate sulle quali arrotolava foglie di tabacco per farne sigari. Mi parlava della bellezza delle cose semplici e di come il mio mondo fosse distante dal suo.

Le raccontai che il suo nome veniva dalla mitologia greca e da quella romana e che aveva a che fare con il mito delle Muse. MI guardò per dieci minuti con un sorriso divertito e poi rispose che avrei dovuto fare molto di più per stupirla che non raccontarle cose che sapeva già. E così feci.

Ora non saprei esattamente giustificare la scelta dell’editore quando ha deciso di inserire il mio libro in quella collana. In realtà non mi pongo il problema  e questo semplicemente perché credo che io in questo rapporto debba solamente gettare sul tavolo la mia storia e l’editore se la ritiene degna e in linea con il suo progetto editoriale la inserisce in quel progetto come meglio crede.

Azzardo! Probabilmente c’entra qualcosa con l’attinenza di Thalia al mondo della commedia. Magari quello che ho scritto ricorda un po’ una dinamica cinematografica o forse c’entra anche il fatto che quella Musa ogni tanto veniva accostata anche a certe attività del mondo agricolo. In tal caso mi ci ritroverei con piacere in un filone del genere. Sono e resto un contadino che recita la vita.

Sei il primo autore di una nuova realtà editoriale, come ti senti? È una bella soddisfazione/sensazione?

Bella un corno! Sento il peso di questa cosa accidenti!

Una responsabilità, ma anche un onore. Ora nessuna persona di buon senso, in un contesto del genere può guardare la cosa con “soddisfazione” e basta.  Sarebbe un atto narcisistico a cui mi ribello. Quindi vivo la cosa con senso di responsabilità perché avverto come un impegno la fiducia che questa Casa Editrice ha riposto in me e nel mio libro.

Sei soddisfatto del risultato che ha portato (e sta portando) a termine questa piccola casa editrice?

Hai mai visto due che decidono di affrontare qualcosa di importante insieme che non si siano piaciuti a vicenda? Una delle prime cose che dissi a Giulia (Previtali) quando ci conoscemmo fu: “nessuno è nato grande ma molti sono restano piccoli”.

Avevo diverse proposte e alcune anche pesanti. Poi incontro delle giovani armate di coraggio con un progetto serio…

Conosco Sàga per il tramite di Alessandra Micheli: una a cui piacciono le cose che scrivo ma con la quale non parlo quasi mai di quello che scrivo. Lei  è una vera forza della natura… un trattore cingolato a due motori e mi dice: “devo farti conoscere questo nuovo progetto” e dopo qualche giorno mi presenta Giulia.