Intervista allo scrittore Emanuele Marconi

Ciao Emanuele, benvenuto. Chi sei e cosa fai nella vita?

Ciao e innanzitutto grazie per l’intervista. Sono un ragazzo di 32 anni, abito a Monza e sono appassionato di tantissime cose: cinema, teatro, arte, musica, cultura in generale (ho studiato “beni culturali” all’università specializzandomi poi in “comunicazione per il cinema” attraverso un master), ma anche sport. Dopo una lunga esperienza nel mondo della vendita, adesso lavoro nel campo pubblicitario: sono titolare e copywriter della Pubblicinemà, un’agenzia pubblicitaria di ambito principalmente culturale.

Ho letto il tuo libro “Il sette di cuori”, ne sono rimasta molto contenta. Ti va di parlarci della tua opera e di come è nata l’idea?

E’ curioso, ma a volte io stesso mi chiedo come sia nata l’idea e come poi si sia sviluppata in una trama così elaborata. L’idea di partenza è stata certamente quella di porre al centro della storia un treno – forse retaggio dell’attrazione soprattutto cinematografica che i treni hanno sempre rappresentato – che fosse attorniato da un’atmosfera misteriosa. Parallelamente, avevo due grandi temi attorno ai quali volevo far ruotare la trama: la manipolazione delle informazioni e il concetto di rivoluzione. Credo che “Il sette di cuori” nasca propria da questa “triade” di concetti: il treno, la manipolazione, i grandi cambiamenti.

Nel tuo libro nascondi un bel significato, o almeno questo è quello che hai trasmesso a me. È stato voluto di proposito, oppure si è evoluto nel corso della narrazione?

Tante cose si sono evolute nel corso della scrittura – si sono aggiunti personaggi, dettagli, la stessa trama si è arricchita man mano – ma devo dire che il significato della storia era qualcosa che avevo ben chiaro già nella fase di ideazione. Anzi, credo che la trama stessa – il puro intrattenimento, quello che definisco “un gioco letterario” – debba essere funzionale ai significati profondi, ai temi che tratta e agli spunti di riflessione che offre, che poi credo siano gli elementi fondanti di un libro, la sua essenza. Col tempo la trama di un libro si dimentica, il suo contenuto profondo no. E’ quello che cerco nei libri che leggo e che mi auguro possano trovare i lettori tra le righe de “Il sette di cuori”. Mi piacciono i libri, come anche i film o gli spettacoli, che lasciano qualcosa a libro chiuso, qualcosa che va oltre al semplice piacere della lettura.

Nel tuo libro un punto centrale della storia è la stazione. Un luogo di partenze, arrivi, addii e nuovi inizi. Nel libro, in particolare, hanno un significato speciale per te le stazioni oppure è stata una scelta casuale?

Una domanda interessante! Devo dire che ne “Il sette di cuori” ci sono moltissimi significati, anche metaforici, distribuiti nel corso della storia, alcuni lampanti, altri direi quasi introvabili – di certo voluti. Tra questi, però, non c’era il concetto di “stazione”. Effettivamente molti capitoli si ambientano all’interno o nei dintorni delle stazioni, però non avevano in origine un senso simbolico. Più che “casuali”, definirei quelle ambientazioni “funzionali” a livello narrativo. Però è indubbio che le stazioni possano rappresentare tutto quello che hai detto. Anzi, in uno dei capitoli fondamentali, un personaggio parla proprio delle stazioni di sosta, temporanee o eterne. E’ interessante che tu abbia dato questo peso e significato alle stazioni. Come dicevo prima, mi fa piacere che il libro lasci degli spunti di riflessione, che possono essere differenti da lettore a lettore, in base al proprio passato, alle proprie esperienze, alla propria sensibilità.

Ho recensito il tuo libro e ti ho definito in questo modo: preciso, passionale, intrigante, competente. Quanto ti ritrovi in questi aggettivi (sia a livello di scrittura, sia a livello personale)?

Innanzitutto ti ringrazio per questi aggettivi, sono tutti molto gratificanti. Partendo dagli ultimi, credo non spetti a me usare termini come “competente” o “intrigante” per descrivermi, ma ai lettori o a chi deve giudicare il libro. Sono parole che apprezzo molto. Pensare che la mia scrittura (o addirittura io stesso!) possa essere considerata intrigante e competente, è molto piacevole. “Preciso” e “passionale”, invece, sono aggettivi che userei tranquillamente per descrivermi come persona. La passione, in particolare, è qualcosa che per me ha un grosso valore. Essere “appassionati”, “sentire le emozioni” a volte ci fa soffrire, ma è quello che ci rende vivi. Mi fa estremamente piacere pensare che la scrittura stessa possa riflettere il carattere di una persona.

Da dove nasce la tua passione per la scrittura?

In maniera abbastanza casuale, direi. Ho cominciato a scrivere verso gli ultimi anni del liceo, un po’ per gioco, un po’ su invito dei professori a partecipare a qualche concorso, un po’ per esigenza personale. Per anni ho scritto soprattutto racconti, per poi spingermi fino alla dimensione del romanzo. Parlavamo prima di passioni. Più che una passione la scrittura è per me uno strumento liberatorio, un modo per dare sfogo alla mia fantasia, un canale per dare un’immagine alle mie sensazioni, per esprimere la mia voce.

Hai pubblicato il tuo libro in self, ritieni sia stata una scelta saggia? Quale sono le tue impressioni/opinioni a riguardo? Hai qualche suggerimento da dare a chi si avvicina a questa esperienza?

Non so se è stata una scelta saggia, ma sono sicuro sia stata la migliore possibile in questo momento. Non ho mai preso in considerazione altre scelte diverse da quella della grande editoria o dell’autopubblicazione (pur con tutto il rispetto, sono sincero, per il grande lavoro della piccola e media editoria). La difficoltà di penetrare nella grande editoria è nota a tutti, ma la scelta di procedere in self è dovuta a due fattori precisi: il primo, la volontà di non attendere i lunghi tempi di valutazione delle case editrici e di pubblicare in tempi brevi, visto che il libro credo presenti un’idea piuttosto “avanguardista” che fra qualche anno potrebbe non essere più tale. Secondo, perché in self avrei avuto piena libertà creativa e avrei potuto realizzare una libera campagna di promozione attraverso la mia agenzia. Quanto ai consigli, non credo di essere nelle condizioni di dare suggerimenti, essendo io stesso un giovane esordiente. L’unica cosa negativa che posso però evidenziare dell’autopubblicazione è questa: la difficoltà di far conoscere l’opera. Senza almeno un piccolo investimento in pubblicità, l’opera rischia di risultare “invisibile”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Nuove opere in cantiere?

Di certo pubblicherò un secondo libro, in cui tornerà un personaggio secondario (ma fondamentale) de “Il sette di cuori”, di cui scopriremo il passato. Chi? Dovete scoprirlo!